
Sto bussando, forse non c’è nessuno.
Eppure attendo pazientemente, convinta che qualcuno mi aprirà.
Ma sì, qualcuno mi apre! Chi è? Una sconosciuta.
Una donna con occhi scuri accenna un sorriso e mi invita ad entrare, ma io mi ritraggo, così mi fissa con perplessità e si chiede il motivo per cui ho bussato al suo portone.
La mia risposta: speravo che mi aprisse un’altra persona, non meno sconosciuta, forse.
Chiude il portone. Fuori inizia a diluviare, non so dove andare. Dove mi dirigo?
Era l’unica abitazione nel raggio di 200 chilometri… Se mi inoltro in questo tragitto turbolento, non so se tornerò mai a casa. Però dovrei avere una mappa, mi conviene usarla e non perdermi più.
Intanto mi inzuppo i vestiti e ho freddo, siamo alle porte di un inverno rigido e non ho nulla con cui ripararmi, solo un misero fazzoletto nella borsa che almeno mi asciuga le lacrime e il trucco sfatto.
Ma poi continuo a vaneggiare, errando senza sosta. Percorro decine di chilometri sperando che la direzione sia quella giusta (controllo la mappa).
Piove incessantemente. Non riesco più a camminare. Sono esausta e ho i brividi.
La febbre sale e ancora mi trovo distante. Decido che è il caso di riposarmi sotto le fronde spoglie di un albero. E fu mattina. La pioggia si fa meno intensa.
Sono le sette e l’arsura mi sta annientando. Trovo un ruscello poco lontano e mi accingo ad abbeverarmi, quando incontro due castori. Essi si prodigano nei loro piccoli affari e scompaiono quasi subito dalla mia vista, dopo aver annusato il pericolo.
Poi mi sembra di vedere un orso, che con una indolente mansuetudine mi osserva qualche istante mentre si gratta contro un albero. Ha appena finito di mangiare, s’intende, già pensa al prossimo pasto, al prossimo incontro.
Io mi fermo solo un po’ a ristorarmi, ancora stanca dal lungo viaggio che tuttavia è appena cominciato.
Percorro molti chilometri e più cammino più mi sembra di allontanarmi da casa, “forse è solo un’impressione”, penso… Non c’è proprio nessuno su questa strada. Sembra dimenticata da Dio.
Solo piccoli arbusti, siepi immense e una strada che porta chissà dove. Ammetto che quasi quasi rinuncio e mi fermo qua.
Ma no ecco, vedo una luce, il sole che sorge timidamente alle spalle di una vallata.
Il sole che mi scalda e mi abbassa la febbre, caldo, seppur autunnale. Mi asciuga i vestiti e i capelli. Mi sento meglio, decisamente meglio.
Mi è anche venuta fame, ma preferisco attendere. Ora questo sentiero mi sembra meno impervio. Dopo tutto, è più quello che mi sono lasciata alle spalle di ciò che mi è rimasto da percorrere.
Ecco che finalmente vedo un appartamento abitato.
Ci sono tre ragazze lì dentro. Mi sembra di conoscerle… Sì, confermo. Sono proprio loro, mi aspettavano.
“Eravamo in pensiero per te” mormorarono all’unisono “Dov’eri finita”?
“Avevo smarrito una cosa importante – rispondo io – ora l’ho ritrovata”.
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