
Qui non analizzerò fatti politici o geopolitici. Parlerò solo di cultura.
La notizia di ieri relativa alla possibile esclusione di un corso di approfondimento su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano mi ha profondamente sconvolto e deluso. Ecco perché mi ritrovo a scrivere dopo tanto tempo. Ho raccolto le ultime informazioni: lo scrittore ed esperto di cultura russa Paolo Nori riporta la sua conversazione con il prorettore della Bicocca, il quale ha sostenuto che il corso avrebbe dovuto essere “più inclusivo”, cioè discutere, oltre che di Dostoevskij, anche di autori e scrittori ucraini. Personalmente ritengo questa affermazione ridicola e di una ignoranza inaudita. E dato che ritengo questo stato di cose offensivo, volevo dire la mia, per quanto questo possa contare.
Il dubbio iniziale sul tenere il suddetto corso sembra derivare dalla discutibile esigenza di “evitare polemiche”. Ma a me sembra che, in questo modo, le polemiche aumentino. Sì, perché di fatto si tratta di un tentativo, neanche tanto velato, di censurare un certo tipo di dialogo, costruttivo e benefico in questo momento storico così buio.
Leggere e conoscere Dostoevskij è fondamentale anche oggi, perché la sua esperienza di vita (tormentata) ha avuto un impatto indelebile sul suo modo di scrivere. Conoscere la sua storia, oltre che i suoi libri, ci apre la mente, ci fa capire cosa significano davvero l’oppressione, la miseria, la paura di vivere gli ultimi istanti della propria esistenza. Un uomo come Dostoevskij, che ha visto in faccia la morte e poi è riemerso (in parte) dalle sue tenebre, non può essere dimenticato o censurato. Sarebbe un atto vile, codardo. Un atto disumano, perché annienterebbe la nostra capacità di pensare, sentire, volere.
Proprio in questo momento è vitale l’approfondimento di scrittori che hanno affrontato con coraggio le più atroci sofferenze, in guerra, in carestia e sotto un regime monarchico o dittatoriale.
Il mio appello è questo: leggete, non smettete mai di farlo, per nessun motivo al mondo.
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