
Essere donna è bello, ma anche un fardello.
È doverosa una premessa: questo testo l’ho scritto rinunciando a qualsiasi stereotipo, nella convinzione che chiunque possa condividerne il messaggio, far proprie le parole che ho scritto.
«Sono una donna. Il mio nome? Non vi deve interessare. Sono una professionista, una lavoratrice, una creativa, e prima di tutto un essere umano. Sono una spuma che rigenera continuamente da e per se stessa.
Sono sensibile, ma scambiano la mia sensibilità per debolezza, mai capirò il perché. Sono grande, mi dicono, ma i miei sogni sono uguali a quelli di una bambina.
Essere bella? Mi importa il giusto. Adeguata? Non so rispetto a cosa, dunque mi rifiuto di adeguarmi. Come mi vesto? Sono fatti miei. Con chi esco, pure. Se ti guardo, è perché mi interessa quel che dici, non perché voglio spogliarti con gli occhi. Se mi giro, qualcuno mi fissa e giudica, in modo sprezzante, in modo disturbante. Ma poi proseguo, perché non ha senso lasciarsi fissare.
Non voglio essere protetta, non voglio essere capita, voglio semplicemente essere la parte migliore di me stessa. Voglio gridare al mondo le ingiustizie che ancora oggi ci privano della luce che meritiamo di sfoggiare.
Sono una donna perché mi sento tale. Perché porto sulle mie spalle i sacrifici di mie coetanee del passato, perché se io oggi posso studiare, se posso lavorare, se posso esprimermi liberamente, se posso decidere di non sposarmi, di avere o non avere figli, lo devo a chi ha lottato per raggiungere quella parità che ci meritiamo, per la quale meritiamo rispetto.
Sono una donna, ma non perché ho capelli lunghi e vestiti attillati, non perché ho la vagina, non perché mi depilo/non mi depilo. E non è neanche perché faccio sesso con chi mi pare. Queste sono scelte, personali, intime, che ognuna può sposare. Ma non rappresentano ogni singola donna.
Io sono donna perché ragiono con la mia testa, perché la mia indipendenza, il frutto della mia educazione, è la mia forza. Il mio mantra.
Siamo donne perché noi sole possiamo decidere cosa è meglio per noi, e non dobbiamo più rinunciare a tutto questo.
Il peso della storia? Incommensurabile. Le sofferenze subite? Innumerevoli. A tutt’oggi non si è totalmente assopita la strumentalizzazione della donna, l’idea che sia un bel corpo, che un bel corpo non possa essere accompagnato da una sua intelligenza vivida. L’idea, dura a morire, di certi “uomini” – se così si possono definire- i quali ritengono le donne non all’altezza del compito che si prefiggono di portare a termine.
E soprattutto vanno menzionate le numerose disparità che le donne continuano a subire nei paesi islamici e nel Sud est asiatico.
Lo sapete che nei paesi musulmani (sì, li definisco così perché non esiste Stato senza religione), le donne sono ancora considerate delle “schiave del sesso”? Lo sapete? Che non hanno nemmeno il diritto di scegliere chi amare, chi sposare, con chi uscire, quando uscire, come vestirsi? E quando si parla di diritti, non dovremmo limitarci a parlare del nostro singolo caso, che comunque è rilevante, ma dovremmo spalancare le porte e comprendere che, se noi viviamo ancora oscurate da un patrimonio di valori maschilista (che spesso e volentieri noi stesse alimentiamo, sic!), esistono donne che non possono nemmeno esprimere il loro dissenso, altrimenti verrebbero trucidate.
Sapete che esiste una pratica tribale, l’infibulazione, che consiste nel cucire i genitali o nel modificarli, senza alcun anestetico e in precarie condizioni igieniche, per far in modo che le donne rimangano vergini fino al matrimonio? Sapete quante ingiustizie e atrocità esistono al mondo? E per favore, proprio perché siamo donne, parliamone, anche di questo.
Cosa c’è di più atroce di assistere a questi atti di inciviltà, vera e propria, nel ventunesimo secolo?
Sono una donna, come ho detto, ma anche altro oltre a ciò. Non mi aspetto che mi vengano riconosciuti dei meriti solo perché appartengo al sesso femminile. I meriti mi sono riconosciuti perché lotto per essi, perché lavoro per essi, perché son capace di raggiungere i miei obiettivi.
Che cosa ci aspettiamo esattamente dagli altri? Che ci elogino, che ci stendano il tappeto rosso perché siamo femmine? Che assurdità. La mia lotta non ha questo nome. Estirpiamo questo stereotipo, perché altrimenti non possiamo progredire. Eleviamoci senza pretendere dagli altri alcun riconoscimento. Questa è la dignità che ognuna di noi deve ricercare.
Come si smuovono le coscienze? Io credo solo che il maschilismo involontariamente si sia intrufolato anche nel nostro di pensiero. Altrimenti come spiegate tutte quelle affermazioni, così tristi e arroganti, di alcune donne che, ritenendosi superiori ad altre, etichettano, sviliscono, discriminano? Come lo spiegate?
E per l’appunto, come spiegate l’atteggiamento, duro a morire, secondo cui “è l’uomo a pagare la cena al primo appuntamento”, o “è l’uomo che regala fiori”. Non è questo un retaggio di anacronismi culturali? Sì, e ancora sì.
Esistono dunque donne che alimentano il sistema maschilista che affermano di combattere. E ciò è un dato incontrovertibile. Incontrovertibile e contraddittorio. Quali sono le donne che davvero sono fedeli ai principi della parità di genere? Non certo quelle che ostentano, estremizzano, o addirittura si scagliano contro tutti gli uomini, così a prescindere, per partito preso. Questo non è progredire, ve lo dico subito. Questo significa imporre un modello, peraltro errato, di femminilità. Sapete perché esistono ancora uomini “bestiali” (passatemi il termine) che se ne approfittano, che maltrattano, che ingiuriano? Vi svelerò un segreto: sono figli di donne e uomini che non li hanno saputi educare in modo civile. E quel comportamento bestiale, maschilista, offensivo, viene perennemente giustificato da madri, sorelle, zie, prozie, nonne, trisavole, oltre che da padri, fratelli, zii e così via. Stampiamocelo in testa. Che cos’è che uccide la dignità di una donna sottoposta costantemente alle angherie e derisioni di un uomo? Oltre al comportamento individuale, anche la derisione collettiva. Quei commenti beffardi “ma se l’è cercata”, “era una poco di buono”, “se si fosse vestita/comportata diversamente, non sarebbe successo” sono frasi che marchiano, che uccidono, che feriscono ancora di più. Lo stigma sociale, il fatto che le stesse donne, anziché solidarizzare, si schierino dalla parte del carnefice, è il cancro che dobbiamo estirpare. Quante donne sono così? Tantissime.
Impariamo a capire questo, senza giustificare o mistificare. Impariamo a condannare – ma sul serio! – il comportamento di uomini violenti.
E soprattutto, abbandoniamo le campagne inutili, lottiamo per ciò che serve.
E se volete uscire con le gambe non depilate, ok. Se vi sentite libere sessualmente, va bene anche questo. Ma il femminismo non è solo questo. Perché non siamo solo corpo, siamo anima, siamo cuore, siamo luce. Brilliamo, ma non perché è l’8 marzo. Brilliamo perché è ora di osare, e non di cantarci le solite storielle da salotto».
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