
Ho fatto un sogno strano. Ero sul ciglio della strada del ritorno, a notte fonda.
Stavo rientrando nel mio appartamento salendo le scale.
Un uomo sulla trentina è apparso davanti al portone, la sua mise era certamente particolare, come se provenisse da un’epoca collocabile tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo.
Mi sussurrava all’orecchio qualcosa che stentavo a capire, la sua voce era flebile ma sensuale. Indubbiamente voleva sedurmi in qualche modo…
Ripeté la stessa frase svariate volte, così compresi il senso del suo discorso.
Nonostante la lingua fosse straniera, il senso generale può essere riassunto così: “Nessuno può cancellare la tua sete”.
Io mi chiedevo cosa intendesse per sete. Di conoscenza, di amore, di esperienza? Magari alludeva a tutte e tre, e a qualcos’altro.
Mi prese per i fianchi, preludio a un amplesso, ma non mi baciò, in prima battuta.
Solo mi guardava con grande soddisfazione, neanche con quella ingordigia erotica, ma con una tenerezza quasi bambinesca.
Gli occhi erano di un porpora antico al pari delle sue vellutate labbra che delicatamente appoggiò alle mie. Io mi lasciai andare e infine compresi di avere una certa abilità: presi la mia penna e cominciai a scrivere.
Lessi e rilessi ciò che avevo scritto, almeno dieci volte. Constatai che non mi soddisfaceva affatto.
Ma poi che voleva dire? Sembrava una ballata stantia, di quelle che si scrivono per noia più che per inusitato talento. Così buttai tutti i fogli, ne presi di nuovi. Aspettai qualche giorno.
E stavolta mi sentivo ispirata, scrissi tutta la notte.
E quell’uomo mi fece di nuovo visita.
Lesse attentamente tutti i racconti e li apprezzò molto.
Gli chiesi che cosa intendesse per “sete”. Mi disse che la risposta stava nei miei appunti.
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